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LA TRASGRESSIONE A TAVOLA

La parola trasgressione fa scattare, nella mente, una sorta di piacere e di paura allo stesso tempo.

Trasgredire può essere molto piacevole ma, quando in particolare si tratta di farlo sul cibo, ci spaventa : il timore è quello di perdere il controllo e fare, di questa trasgressione, uno stile di vita.

Prima cosa importante quindi è capire bene perché sto trasgredendo. Concedermi un cibo per me molto buono e molto calorico, per il semplice fatto che mi piace e mi piace il contesto in cui lo sto consumando (ad esempio a cena con amici, con il partner, un occasione speciale), è cosa ben diversa dal trasgredire solo perché è l’unico piacere che mi sono tenuta nella vita. In questo secondo caso, trasgredire, magari abbuffandomi o mangiando in modo poco sano, non è più solo una trasgressione che mi dà senso di libertà ma, al contrario, rischia di diventare una compulsione sempre più difficile da controllare.

Occorre ricordare che l’unico modo per avere veramente il controllo su un’azione (o un pensiero) è quello di perderlo, almeno ogni tanto. Pensiamo ad una dieta molto restrittiva, che faccia appello a tutta la mia forza di volontà per resistere alle tentazioni: posso essere brava e portarla avanti anche per molto, ma quello che sta succedendo in realtà è che mi sto preparando ad una bella abbuffata finale, inevitabile, visto che tutti i cibi proibiti diventano sempre più desiderabili e desiderati. Concedersi un piccolo piacere ogni tanto, anziché starne alla larga come un pericolo, ci permette di averne poi maggiore senso di controllo.

È chiaro quindi come, la dimensione psicologica, quando ci alimentiamo, sia sempre presente; dal punto di vista strettamente alimentare poi, potrebbe essere molto utile avere indicazioni da parte di un nutrizionista, per conoscere sempre meglio gli alimenti e sapere con cosa stiamo trasgredendo!

Concludiamo con un interessante fenomeno osservato nel 1980 dagli studiosi Herman e Polivy: un soggetto a dieta, che assuma un alimento considerato “trasgressivo” e ingrassante, finisce con il consumarne di più rispetto a quanto ne consumi chi non è a dieta, in misura proporzionale alla rigidità della dieta (Polivy et al. 1994).

 

 

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